Disturbo dissociativo di identità: caratteristiche cliniche e terapia
Il disturbo dissociativo di identità, anche detto disturbo di personalità multipla, è stato originariamente descritto come un fenomeno insolito legato ad un meccanismo psichico di tipo comune: la dissociazione. Il rapido aumento di casi registrato negli ultimi anni in Nord America potrebbe essere dovuto ad a un eccesso di diagnosi o all’inclusione di casi iatrogeni. La maggior parte dei ricercatori tendono a classificare tale disturbo dissociativo come dovuto ad un trauma cronico (Nakatani, 2000).
Secondo il manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali, quinta edizione (DSM-5) tale disturbo consiste nella “distruzione” dell’identità in due o più distinte personalità. Tali personalità avrebbero un loro modo di percepire, relazionarsi e pensare nei confronti dell’individuo e dell’ambiente.
I sintomi possono essere riportati dagli altri o dall’individuo stesso. Spesso sono accompagnati dall’incapacità di ricordare notizie importanti, troppo estesa per essere spiegata come una banale dimenticanza. Il disturbo causa generalmente un disagio nel funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti per l’individuo e non è dovuto ad una pratica religiosa o culturale ampiamente accettata (possessione). L’alterazione, inoltre, non è dovuta all’effetto di una sostanza (come l’intossicazione da alcol) oppure ad una condizione medica generale (come l’epilessia parziale complessa) (American Psychiatric Association, 2014).
Le prime teorie sui disturbi dissociativi
Le prime teorie sui disturbi dissociativi si devono a Pierre Janet (1859-1947), importante psicologo francese vissuto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. A lui si devono gli studi sull’isteria, considerata una patologia multiforme, basata su tre modelli psicologici. Riferendosi ad un modello gerarchico, Janet correlava i sintomi dell’isteria ad attività presenti negli strati più bassi della mente (definiti automatismi psicologici), dimostrati palesemente nei soggetti affetti da sonnambulismo. Un secondo modello, proposto da Janet, era basato sul concetto di un sistema psicologico caratterizzato da idee, immagini, sentimenti, sensazioni e movimenti nel quale la dissociazione delle funzioni psicologiche consisteva nella perdita di integrazione di queste componenti con lo sviluppo di un sistema totalmente isolato dall’intero sistema della personalità.
Janet ha anche tentato di spiegare i vari disturbi mentali utilizzando un modello economico, facendo riferimento alla perdita di equilibrio tra la forza psicologica e la tensione psicologica. Un’esperienza emotiva inaspettata, infatti, può causare un consumo di forza psicologica con conseguente stanchezza associata a sintomi isterici. Janet è stato il primo a studiare il ruolo del trauma psicologico come causa principale di dissociazione ed a definire i tratti tipici delle pazienti isteriche come suggestionabilità e tendenza verso un restringimento del campo di coscienza.
Durante la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra alcuni psichiatri hanno cominciato a prestare attenzione a due fenomeni emergenti: un’alta incidenza di sintomi dissociativi (fuga e amnesia dissociativa fra combattenti; nevrosi traumatica tra gli ex-detenuti dei campi di concentramento).
Nel 1970 l’interesse per la dissociazione e per i traumi è stato rivalutato attraverso il movimento femminista, le preoccupazioni per gli abusi sessuali infantili, la presentazione del disturbo di personalità multipla in romanzi o film, il riconoscimento del disturbo post-traumatico da stress tra i veterani di guerra del Vietnam.
Nel 1980 i disturbi dissociativi sono stati inseriti come categoria diagnostica nella nomenclatura ufficiale del manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali, terza edizione (DSM-III). Nell’edizione successiva, DSM-IV, è stata data grande rilevanza all’ipotesi della genesi traumatica dei disturbi dissociativi ed al disturbo di personalità multipla. La dissociazione rappresenterebbe una reazione alle prime esperienze traumatiche, soprattutto abusi sessuali e fisici durante l’infanzia. Altri fattori dovrebbero essere presi in considerazione, quali l’influenza dell’ambiente e la predisposizione dei pazienti all’insorgenza del fenomeno (Nakatani, 2000).
Uno studio ha valutato la prevalenza dei disturbi dissociativi negli ambulatori di psichiatria delle città. I soggetti esaminati erano 231 (84 uomini, 147 donne di età media pari a 37 anni). I soggetti hanno completato questionari specifici per valutare la dissociazione (Dissociative Experiences Scale) e la storia traumatica (Traumatic Experiences Questionnaire). 82 pazienti (il 35%) hanno effettuato una intervista strutturata per disturbi dissociativi (Dissociative Disorders Interview Schedule). Dai risultati è emerso che gli 82 pazienti intervistati non differivano significativamente sulle misure rilevate di traumi ed episodi dissociativi dai 149 pazienti che non sono stati intervistati. 24 (il 29%) degli 82 pazienti intervistati hanno ricevuto una diagnosi di un disturbo dissociativo. Il disturbo dissociativo d’identità è stato diagnosticato in 5 pazienti (il 6%). Rispetto ai pazienti senza una diagnosi di disturbo dissociativo, i pazienti con un disturbo dissociativo avevano avuto con maggiore probabilità abusi fisici infantili (il 71% contro il 27%) ed abusi sessuali infantili (il 74% contro il 29%). Solo 4 pazienti (il 5%) nei quali un disturbo dissociativo è stato identificato nel corso dello studio avevano precedentemente ricevuto una diagnosi di disturbo dissociativo.
I disturbi dissociativi, pertanto, erano altamente prevalenti nella popolazione esaminata, anche se non erano stati precedentemente diagnosticati clinicamente. L’alta prevalenza di disturbi dissociativi in questo studio può essere correlata a fattori metodologici (a tutti i pazienti è stato offerto un colloquio) ed a fattori epidemiologici (tassi estremamente elevati di prevalenza per abusi fisici e sessuali infantili erano presenti nella popolazione generale utilizzata per lo studio) (Foote et al., 2006).
Trattamento del disturbo dissociativo di identità
Il trattamento del disturbo dissociativo di identità è molto simile a quello del disturbo post-traumatico da stress, previsto dalle linee guida internazionali (American Psychiatric Association, 2004; aggiornamento 2009), prevedendo l’utilizzo di farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) come prima scelta, seguiti come seconda scelta da antidepressivi triciclici in eventuale associazione con benzodiazepine e neurolettici di seconda generazione (se presenti sintomi psicotici). Utile come trattamento preventivo o in associazione alla terapia farmacologica sembra essere la terapia EMDR (Eye movement desensitization and reprocessing), basata sull’elaborazione delle memorie traumatiche attraverso i movimenti oculari rapidi. La durata prevista dal trattamento è di almeno 6 mesi.
Riferimenti bibliografici:
American Psychiatric Association (2004). Guidelines for Post-traumatic stress disorders. Aggiornamento 2009.
American Psychiatric Association (2014). DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore.
Nakatani Y(2000). Dissociative disorders: from Janet to DSM-IV. Seishin Shinkeigaku Zasshi. 102(1): 1-12.
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Dott.ssa Tiziana Corteccioni
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