Schizofrenia: una cura definitiva grazie a nuovi farmaci antipsicotici?
Tutti i farmaci attualmente approvati per il trattamento della schizofrenia hanno come bersaglio l’antagonismo dopaminergico. Questi principi attivi risultano efficaci per la riduzione dei sintomi psicotici (come i deliri, le allucinazioni) ma la loro efficacia sembrerebbe scarsa sui sintomi negativi (come l’appiattimento affettivo) e cognitivi (i deficit mnesici, la difficoltà di attenzione o concentrazione). Tali sintomi residui sono generalmente alla base della disabilità di questa patologia cronica.
Approfondimenti recenti sulle basi biologiche della schizofrenia, in particolare in relazione ai meccanismi fisiopatogenetici non dopaminergici, hanno sollevato l’interesse dei ricercatori su nuovi bersagli farmacologici efficaci, anche se con relativamente scarso successo finora.
I potenziali ostacoli alla scoperta di nuovi farmaci sono rappresentati da: l’eterogeneità dei sintomi o delle diagnosi, la mancanza di modelli preclinici validi e le limitazioni di progetti negli studi clinici. Questi ostacoli possono essere superati attraverso: una diagnosi dimensionale che permetterebbe l’individuazione di varie aree bersaglio di un potenziale trattamento; l’efficienza, la responsabilità e la trasparenza negli approcci al processo di sperimentazione clinica; lo sfruttamento dei recenti progressi nel campo della genetica e dei fenotipi in vitro. Mentre questo accade è indispensabile per i medici utilizzare un dosaggio ottimale dei farmaci disponibili in commercio mantenendo nel tempo i risultati raggiunti dai loro pazienti (Keshavan et al., 2016).
Sono passati più di 50 anni dalle ricerche sui primi farmaci antipsicotici, rimane, pertanto, una grande necessità di individuare nuovi bersagli terapeutici. Sono state suggerite altre ipotesi oltre a quella della dopamina. I nuovi farmaci avrebbero azione su alcuni sistemi di neurotrasmettitori. Tra questi si possono segnalare gli inibitori della fosfodiesterasi 10A ed i modulatori dei recettori dell’acetilcolina alpha 7. La commercializzazione di questi farmaci potrebbe rivoluzionare il trattamento della schizofrenia (Gopalakrishna et al., 2016).
La pimavanserina (nome commerciale Nuplazid) è un potente, selettivo agonista inverso e antagonista del recettore della serotonina 2A (5-HT2A) sviluppato dalla ACADIA Pharmaceuticals. Il farmaco è stato approvato negli Stati Uniti per il trattamento dei pazienti con psicosi associata al morbo di Parkinson. Fino al 60% dei pazienti con malattia di Parkinson, infatti, possono sviluppare allucinazioni e deliri con conseguente aumento della morbilità e mortalità (Markham, 2016).
Il modello della ketamina per la schizofrenia, invece, ha portato a diverse strategie terapeutiche che regolerebbero l’attività del recettore postsinaptico dell’acido glutammico N-metil D-aspartato (NMDA) attraverso agonisti diretti al sito del recettore della glicina ed inibitori della ricaptazione della glicina.
La ketamina agirebbe a livello degli interneuroni inibitori dei recettori NMDA riducendo il rilascio di glutammato. Questi approcci hanno incontrato un certo successo nel trattamento dei sintomi negativi e positivi della schizofrenia.
Un approccio emergente prevede l’utilizzo dell’agonista parziale NMDA, D-cicloserina, proponendosi di valorizzare la plasticità sinaptica, attraverso un trattamento intermittente, riducendo così i sintomi negativi e migliorando la memoria dei pazienti psicotici. In combinazione con la psicoterapia cognitivo-comportamentale la D-cicloserina sembrerebbe ridurre i sintomi deliranti nella schizofrenia (Goff, 2016).
I deficit cognitivi rappresentano un aspetto disabilitante della schizofrenia per i quali non esistono trattamenti farmacologici davvero efficaci. Prove emergenti suggeriscono che le terapie a base di estrogeni possono essere utili per ridurre i deficit cognitivi associati alla schizofrenia. Il modulatore selettivo del recettore degli estrogeni Raloxifene può essere utile per migliorare l’attenzione, la memoria, l’apprendimento e l’attività cerebrale degli uomini o delle donne affetti da malattie croniche come la schizofrenia ed il disturbo schizoaffettivo. Ulteriori studi saranno necessari per replicare i risultati iniziali, valutare nel tempo gli effetti del trattamento, identificare biomarcatori in sottogruppi di pazienti che hanno risposto in modo ottimale alla terapia, identificando un meccanismo più preciso di azione che può riguardare gli effetti anti-infiammatori dei trattamenti a base di estrogeni (Weickert et al., 2016).
Riferimenti bibliografici:
Goff D (2016). The Therapeutic Role of d-Cycloserine in Schizophrenia. Adv Pharmacol. 76: 39-66.
Keshavan MS et al (2016). New drug developments in psychosis: Challenges, opportunities and strategies. Prog Neurobiol. S0301-0082(16) 30075-2. [Epub ahead of print].
Markham A (2016). Pimavanserin: First Global Approval. Drugs. 76(10): 1053-7.
Weickert TW et al (2016). Potential Role of Oestrogen Modulation in the Treatment of Neurocognitive Deficits in Schizophrenia. CNS Drugs. 30(2): 125-33.
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Dott.ssa Tiziana Corteccioni
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